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Il nostro maestro Giancarlo de Carlo non diceva mai "siamo all'Università" o "vengo domani in Facoltà" e nemmeno "abbiamo appuntamento ad Architettura", diceva: ci vediamo "a scuola". Con lui ho lavorato per sette anni insieme ad altri cinque, poi all'ultimo, sei assistenti e con i ragazzi che hanno studiato e lavorato fino ad impazzire. Il primo giorno di lezione del primo biennio, in un'aula stracolma GDC spiegava che per seguire il suo corso gli studenti avrebbero dovuto mettere in conto che l'impegno richiesto avrebbe probabilmente impedito loro di frequentare e dare altri esami, e questo per due anni di seguito. Alla seconda lezione nell'aula non si contavano più di cento studenti, gli altri cinque o seicento erano migrati verso i corsi di altri professori, alla fine del primo anno ne rimanevano non più di una cinquantina. Al termine di sei anni di lavoro, dal 1984 al 1989, sono usciti 122 nuovi architetti. Era GDC a decidere chi poteva fare la tesi con lui, in tutto 35 in sei anni. Le lezioni erano emozionanti, quando GDC parlava metteva i brividi. Le revisioni erano estenuanti e interminabili (e io spesso ero indisciplinato), ma GDC ascoltava tutti in silenzio, parlava pochissimo e la tensione dei ragazzi si toccava. Poi, l'ultimo anno di insegnamento, ha voluto lasciare un "testamento" culturale è ha chiesto e ottenuto da Edoardo Benvenuto (il preside che lo ha voluto a Genova) di fare lezione a tutti gli studenti del primo anno, le "matricole", nessuno escluso. Così ci siamo trovati in sette assistenti con più di seicento studenti, quasi cento a testa. Mi ricordo che le prime lezioni li dividevamo in due aule, in seguito, grazie alla gentilezza del Teatro della Tosse si andava nell'Agorà, sotto la platea, a guardarsi tutti in faccia. Qualche volta, mi e capitato di incontrare un architetto dal viso non nuovo, e poi di scoprire che era uno di quei seicento. Chi ha vissuto questa esperienza sia come studente che come assistente se la porta addosso per tutta la vita. Il giorno che sono andato a salutare GDC al cimitero di Lambrate ho rivissuto per un istante l'atmosfera della “sua scuola” e quando ci siamo radunati e qualcuno ha parlato era come se fossimo tornati in quella scuola e lui, in silenzio, come sempre. |
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